UN CINEMA OCCUPATO PER NON PERDERE IL DIRITTO DI PARLARE
di Ascanio Celestini – Venerdì di Repubblica, 6 gennaio ’12
Guido mi racconta perché da aprile partecipa all’occupazione dell’ex cinema Palazzo a piazza dei Sanniti. “Veniamo a sapere che si stavano svolgendo dei lavori per l’apertura di una sala da gioco di nuova generazione così abbiamo radunato un po’ tutti i soggetti del quartiere per un’occupazione simbolica di tre giorni. Una volta entrati qua dentro ci siamo resi conto che la nostra battaglia riguardava tutta la città perché uno spazio come questo non può essere consegnato al gioco d’azzardo. Quindi dopo la fine di questi tre giorni abbiamo deciso di rilanciare e abbiamo fatto il possibile per realizzare tutta una serie di eventi. Qualcuno pensa di controllare il quartiere militarizzandolo e portando le forze dell’ordine ad ogni angolo delle piazze, noi con questa esperienza abbiamo dimostrato che la cultura è più incisiva della repressione”.
Guido Farinelli è venuto da Spoleto per studiare scienze politiche e ormai è diventato un cittadino romano e soprattutto un abitante di San Lorenzo. Ha aperto Zafari, una libreria in via dei Volsci davanti al bar Marani e collabora con l’Esc che è un altro spazio occupato, o meglio “Esc è un’interfaccia tra Università e Metropoli” c’è scritto sul loro sito.
Sono le otto di sera, è inverno, la notte scorsa Roma era sotto zero e stanotte farà lo stesso freddo. Se ci fosse la sala da gioco saremmo immersi nella luce colorata e nella musica oltre che nel rumore delle macchinette mangiasoldi. E invece stasera s’è pure inceppato il generatore. Un paio di lampade illuminano il palco e qualche candela fa luce lungo le scale che portano ai bagni.
Dopo 8 mesi di occupazione, ieri mattina sono arrivati gli ufficiali giudiziari, ma dopo un paio d’ore c’erano più di mille persone” e l’attività della sala Vittorio Arrigoni (a lui è dedicato questo spazio) è ricominciata.
Qualcuno si chiederà “ma chi ci viene in un posto così?” Bisognerebbe chiederlo a quelli coperti con cappotti, sciarpe e cappelli che si mettono in fila per entrare. Lasciano una sottoscrizione, prendono un bicchiere di vino, danno un’occhiata alla bancarella coi libri o al calendario delle prossime serate ed entrano in sala. Vengono a sentire Ilaria Cucchi e Lucia Uva, Patrizia Aldrovandi e Domenica Ferulli che parlano di figli, padri e fratelli arrestati e morti pochi giorni, ore o anche solo pochi minuti dopo.
Ci viene un popolo civile e silenzioso che vuole ascoltare e capire, ma anche riprendersi la parola.